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Guatemala, que bonito!

Bonito bonito suave suavesito: cosa ho amato del Guatemala dal primo momento e dove tornerei anche subito

Se avessi ceduto alla tentazione di giudicare il Guatemala alla prima impressione, bhe, ora non sarei qui a raccontare del mio viaggio. Per arrivarci ci abbiamo impiegato quattordici ore, tre pullmini, due frontiere, una sola sosta bagno e tutti i contanti che avevamo, dato che avevamo dovuto dare ben due mazzette alla dogana messicana (alla fine di questo articolo vi racconto com’è andata). Eravamo, per dirla come si usava dire a Torino durante la mia laurea magistrale per definire lo stato di qualcuno dopo una giornata di studio particolarmente impegnativa: completamente sfatti.

E completamente impreparati alla meraviglia che ci stava aspettando dietro l’angolo

Di solito preferisco utilizzare le parole per raccontare. Ma, come ho già fatto per il viaggio in Messico, a volte mi piace farmi aiutare dalle fotografie. Il Guatemala è un Paese magnifico e, come tutti i Paesi, ha mille sfaccettature, tantissime culture diverse, tantissime tradizioni, luoghi, monumenti, piatti tipici, volti, profumi, canzoni, problemi. Vorrei condividere con voi, allora, la bellezza di questo Paese del mesoamerica anche attraverso alcune immagini, fotografie che ho scattato nel corso del viaggio e che hanno il potere di ricordarci che in una storia anche i personaggi contano, non solo la voce narrante. Ed è giusto lasciare che anche loro dicano qualcosa di sè.

Dove torneremmo anche subito: il Lago Atitlan, nel sud del Guatemala

Sono un lago che lambisce le sponde di tre vulcani ormai spenti. Le mie acque nutrono le piantagioni di caffè e trasportano ogni giorno, su velocissime lancias e piccole canoe intagliate nel legno, centinaia di persone che vivono nei pueblos a cui gli abitanti di qui hanno dato i nomi dei santi, San Marcos, San Pedro, a cui chiedono protezione. Gli occidentali credono che io mi trovi in un luogo magico, perchè è il punto di incontro di fasci di energia proveniente dall’universo. Vera e Boris credono che il lago Atitlan sia un luogo magico, perchè è bellissimo, il tempo scorre lento e le sue genti sono accoglienti. Ho incontrato Vera e Boris alla fine del loro viaggio di nozze. Profumavano di viaggio, di sveglie alle 4:17 per prendere il primo aereo e di aperitivi sulle spiagge messicane. Di fronte alle mie acque, nel piccolo pueblo di San Marcos, hanno imparato a rallentare. Ora sanno riconoscere il colibrì dal suono delle sue ali, nuotare nel riflesso dei vulcani che si specchiano nelle mie acque, osservare il cielo senza altre luci se non quelle delle stelle, fare colazione con il succo ottenuto dai fiori pestati in un mortaio di legno. Posso dire di averli visti più volte leccarsi dalle dita la marmellata di ibisco. La vita sulle mie sponde segue ancora il percorso del sole. Anche Vera e Boris, sin dal primo dei cinque giorni che hanno trascorso qui, si sono piacevolmente adagiati, svegliandosi all’alba, intorno alle 7:00, e andando a dormire con il sole, alle 21:00. Compravano frutta e verdura dalle signore sedute tra le viuzze di San Marcos, hola amiga, hola amigo, hay bananas, hay mangos. E mangiavano tutte le sere a Konojel, il ristorante di un centro culturale che dà lavoro alle donne del villaggio e con il cui ricavato si sostengono le persone più fragili della comunità. Se vi capita di andarci, ho visto Vera e Boris mangiare estasiati le tartellete al dulce de leche.

Le donne Maya di Quetzaltenango e Chichicastenango

Siamo le donne del mercato Maya di Chichicastenango. Ogni giovedì e ogni domenica mattina arriviamo da tutta la regione a vendere i nostri tessuti e ad acquistare ciò che ci serve. Qui incontriamo migliaia di turisti che vengono a fotografarci durante le cerimonie sacre delle confraternite di Chichi e ad acquistare i nostri prodotti. Molti sorridono quando ci vedono fare a mano le tortillas: i battiti delle nostre mani sembrano applausi ed è subito festa. Indossiamo ancora i nostri abiti tradizionali: possiamo riconoscere la nostra provenienza dal colore e dallo stile del ricamo. Ci sono più di duecento diverse combinazioni e sono le stesse da secoli. Una volta, lo abbiamo raccontato a Vera e a Boris durante la loro visita al museo tessile di Quetzaltenango, anche gli uomini si vestivano così. Ma per il tipo di lavorto che è stato loro richiesto, dalla dominazione spagnola in poi, i nostri tessuti sono troppo pesanti; prima degli spagnoli noi Maya non conoscevamo una divisione dei ruoli così netta tra donne e uomini. Gli spagnoli l’hanno portata con sè, costrigendo noi donne in casa e gli uomini al lavoro, come facevano con le loro mogli. Questa divisione la portiamo ancora oggi, così come i problemi legati alla povertà e alla discriminazione, come alcolismo e violenza domestica, altre conseguenze che secoli di soprusi hanno portato nelle nostre comunità, che sono ancora tra le più povere al mondo. Ci siamo divertite quando Vera ha comprato una stoffa, pagandola molto più del suo valore reale, alla più insistente di noi. E anche quando ci ha chiesto di poter assaggiare il cioccolato prima di poterlo acquistare: si è leccata le labbra e noi le abbiamo detto che eravamo molto felici che il nostro prodotto artigianale le piacesse. Ha acquistato due tavolette e l’abbiamo vista annusare il pacchetto e sorridere, al pensiero di aver portato a casa con sè un po’ della nostra storia.

Ad Antigua c’è una chiesa che sembra una torta al limone

Sono la chiesa de La Merced, ad Antigua, l’antica capitale del Guatemala. Nella piazza di fronte alla mia facciata, che condivido con il monastero a me adiacente, c’è una grande fontana, degli alberi ombrosi e merli neri che fischiano ai passanti. Nelle sere di festa le donne della città portano le loro cucine portatili e vendono tortillas, panini, burritos, frescos (succhi di frutta), zucchero filato, dolci e bibite a chi accorre per festeggiare. Vera ha ragione, con il mio stile coloniale, gli stucchi bianchi su sfondo giallo, sembro proprio una torta al limone. Nelle giornate di sole faccio ombra alle venditrici ambulanti di tessuti che accorrono per fare affari con i turisti. Il cielo azzurro dietro di me contrasta con i miei colori, che si vedono da lontano fino al Cerro de La Cruz, il belvedere sulla città dove gli innamorati vanno al tramonto tenendosi per mano.

I tucani nella giungla del Peten

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Un tucano reale nella giungla di Tikal, Peten, Guatemala
Sono un tucano reale, di quelli che Vera e Boris avevano visto solo in fotografia e sui libri. Sono silenzioso e riservato, non amo farmi vedere. Qui, nella giungla dove gli antichi Maya hanno costruito i templi di Tikal, nel Peten, ho trovato la mia casa ideale. Vera è riuscita a farmi questa foto solo dopo un lungo appostamento e solo perchè mi ha fatto un po’ pena: una delle scimmie ragno, che abitano gli alberi dove mi piace mangiare le foglie più verdi, le aveva appena fatto la pipì in testa. Le ridò la parola, così può darvi gli ultimi consigli se avete in mente di visitare presto il nostro bellissimo Paese.

Cosa devi tenere presente se stai programmando un viaggio in Guatemala

Se siete arrivati fino a qui, è probabile che ora vogliate visitare il Guatemala anche voi. Se intendente seguire i nostri passi e entrare nel Paese via terra, via Belize, sappiate che è molto probabile che le persone che troverete alla dogana in uscita dal Paese, in combutta con la compagnia di autobus, vi chiederanno una mazzetta di 500 pesos, circa 40€, a testa per rilasciarvi il timbro di uscita. Non è legale, non è autorizzato, le autorità italiane o messicane ti diranno che non è regolare, come anche diversi racconti di viaggio su internet, e invece queste mazzette sono la prassi. E senza quel timbro non potete lasciare il Paese. Corrompere l’autista del bus con birra e panini, come ha fatto una nostra compagna di viaggio, è un’altra soluzione possibile, ma non so dirvi se funziona sempre. Vi conviene preparare i soldi in contanti per questa evenienza e prepararvi a entrare in questa logica che per noi Europei è molto lontana. Entrare in Belize e in Guatemala è gratuito, ma uscire dal Belize costa circa 20$ americani e, questo sì, è previsto dalla legge. Il modo migliore, e più sicuro, per spostarsi è con le compagnie private di viaggio. È sufficiente prenotare il proprio posto su una delle navette che raggiungono la vostra destinazione il giorno prima oppure anche la mattina per il pomeriggio: il prezzo si può sempre contrattare, ma non aspettatevi FlixBus. Le navette sono furgoncini un po’ scalcagnati, i bagagli vengono legati sul tetto e si parte solo quando tutti i posti sono occupati. No wifi e l’aria condizionata o è troppa o è troppo poca. Gli autisti hanno tutti una guida sportiva e un amore viscerale per le rancheras, la versione mesoamericana di Gigi D’Alessio. Il cibo più buono è quello cucinato dalle donne nei baracchini per strada. Assaggiate i tamales e le tortillas e non abbiate paura di prendere i frescos da bere, soprattutto se avete superato la prima settimana di viaggio e il vostro corpo si è già abituato al cibo non italiano. Dove torneremo sicuramente nel nostro prossimo viaggio? Al lago Atitlan, abbiamo alloggiato in un bellissimo eco hotel che si chiama Lush. A Tikal, vogliamo partecipare a un trekking nella giungla per raggiungere il sito Maya segreto di El Mirador. E a fare il bagno nelle bellissime acque di Semuch Champey, che a questo giro non ci sono state. Poi, dal Guatemala è un attimo andare in Honduras, El Salvador in Nicaragua.
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Messico, nuvole e scimmie urlatrici

7 cose più una che ho scoperto del Messico durante il nostro viaggio da Città del Messico alla Riviera Maya, passando per Chiapas, Tabasco, Campeche e Yucatan

In Messico siamo arrivati lo scorso 2 febbraio. Siamo partiti dall’Italia che il Coronavirus era ancora una cosa esclusivamente cinese. Siamo tornati due giorni prima che iniziasse il lockdown, dopo aver trascorso quasi un mese tra Messico e Guatemala. Il Messico l’avevamo lasciato ormai da due settimane abbondanti, dopo un viaggio in pullman durato più di dodici ore, tre passaggi di frontiera e due mazzette (ma questa è un’altra storia).

Oggi, che la quarantena compie ufficialmente 40 giorni, mi sembra il momento perfetto per rompere il silenzio sui viaggi passati e raccontare i luoghi più meravigliosi e le scoperte che mi hanno lasciata a bocca aperta di questo Paese che, da solo, è grande quasi quanto l’Europa Centrale (yes, quasi 2 milioni di km quadrati, quasi sette volte l’Italia). Così, magari, ci viene voglia di progettare i viaggi futuri.

Non può quarantenare per sempre.

Se riesci a uscire dall’altro lato di un cenote, probabilmente arrivi in Cina

I cenote sono forse la cosa più straordinaria che abbiamo incontrato nel nostro viaggio in Messico. Sono vere e proprie grotte, la cui apertura è spesso circolare e nascosta tra la vegetazione della giungla, che si sviluppano sottoterra anche per centinaia di metri; piene di acqua dolce, pulita e freschissima, sono spesso abitati da animali come pesci e tartarughe.

Profondissimi, i cenote erano spesso utilizzati dai Maya per i sacrifici umani. Oggi ospitano tour subacquei organizzati e competizioni mondiali di tuffi, come il Cenote Ik Kil, la cui apertura perfettamente circolare lo rende uno dei più spettacolari. I cenote si trovano per lo più nella regione dello Yucatan e nella Riviera Mata, come il Gran Cenote, raggiungibile in bicicletta da Tulum. Ma attenzione: chiudono tutti prima del crepuscolo, attorno alle 16:00, perchè all’imbrunire sono presi d’assalto dagli animali della giungla che scendono alle loro acque per abbeverarsi. Bellissimi!

Le scimmie urlatrici non urlano

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Scimmia urlatrice a Palenque, Chiapas, Messico

Credevo che le scimmie urlatrici fossero rosse e trascorressero la maggior parte del loro tempo impegnate a urlare: aaaaaah! Lo credevo perchè quando ero piccola avevo un libro interamente dedicato a questo animale, con le illustrazioni che mi piacevano tantissimo e le pagine a tratti trasparenti così che a ogni pagina c’era sempre qualcosa da scoprire. In Messico ho scoperto che nessuna delle due cose è vera.

Le scimmie urlatrici, per lo meno quelle messicane, non sono rosse, ma nere; e il loro verso non assomiglia neanche lontanamente a un urlo. Il verso assomiglia a un ruggito, ma forse è più simile a quando quel signore delle televendite riprendeva fiato prima di attaccare con la descrizione della batteria di pentole successiva, avete presente di chi parlo no? La prima volta che l’abbiamo sentito erano le cinque del mattino e noi dormivamo in una cabaña in mezzo alla giungla: non sapevo se essere terrorizzata per quel suono mostruoso o super felice di aver, finalmente, potuto incontrare dal vivo una scimmia urlatrice, una delle protagoniste della mia infanzia. Come potete facilmente immaginare da questa foto, ho scelto la seconda.

Le persone adorano mettersi in fila

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La fila indiana dei turisti sulle scale ripidissime della Piramide del Sole, Teotihuacan, Città del Messico

Nelle prime 24 ore a Città del Messico abbiamo battuto il record delle ore passate in fila. Quattro per entrare alla Casa Azul di Frida Kahlo (su internet troverete che non è necessario prenotare: è una menzogna, fatelo; e assolutamente assaggiate il cocco piccante che servono i baracchini lungo la strada), due in tutto per riuscire a salire in cima alla Piramide del Sole a Teotihuacan e una per riuscire a prendere il pullman che ci avrebbe riportato indietro a Città del Messico.

A stupirci più di tutto è stata l’assoluta tranquillità con cui i messicani affrontano lo stare in fila. A noi la Lombardia ci è salita e ci è scesa subito in tempo record: non abbiamo fatto in tempo a scocciarci che subito un nostro compagno di attesa ci ha offerto un po’ delle sue chapuline, cavallette fritte con succo di lime e salsa di pomodoro. Come si fa a non amare questo Paese e chi lo abita?

È facile incontrare la versione gigante delle piantine dell’Ikea

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Finalmente all’ombra, Palenque, Chiapas, Messico

Credo che la cosa che in assoluto ci ha lasciato più con la bocca aperta è stata la giungla. Soprattutto, i suoi verdi: non credevo potessero esistere così tante varietà di verde. È sufficiente posare gli occhi su qualunque giardino o area erbosa per sentirsi all’istante più rilassati e in pace con se stessi.

E poi, la grandezza delle piante. Prendete il reparto giardino di Ikea, immaginate di essere protagonisti del film Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi e avrete la stessa sensazione che ho provato quando mi sono infilata sotto questa foglia gigante di alocasia. A metà tra Wayne Szalinski e Alice nel Paese delle Meraviglie.

Esiste una laguna dove l’acqua ha 7 colori

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Laguna Bacalar, Yucatan, Messico

La Laguna Bacalar è chiamata dei sette colori perchè l’acqua è così limpida da confondersi con il cielo e da avere sette sfumature di blu. Noi siamo stati poco fortunati e abbiamo beccato una giornata un po’ uggiosa, e forse di sfumature ne abbiamo viste solo quattro o cinque, ma questo non ci ha impedito di rimanere a bocca aperta. Qui, dove seguendo le acque del Golfo del Messico, solo tre secoli fa i pirati arrivavano con le loro grandi navi per dividersi il bottino di scorrerie precedenti nel Mar dei Caraibi, oggi pochi turisti e molti locali amano ritrovarsi al tramonto in una spa a cielo aperto: il fondo limaccioso è infatti ricco di zolfo e l’argilla è riconosciuta come ottimo esfoliante e purificante. In queste acque, vivono tantissime varietà di uccelli, pesci gatto che sembrano usciti da un altro pianeta e, ci hanno detto, qualche raro coccodrillo bianco (che non siamo riusciti a vedere, nonostante il nostro impegno per questo compito che, come potete immaginare dalla fotografia, è stato arduo).

Alle persone piace fare la stessa fotografia

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Due coppie di turisti si fotografano nella stessa posa a Chichen Itzà, Quintana Roo, Messico

Non solo a Pisa, la moda di fare tutti la stessa foto in prospettiva non è solo italiana. Di fronte alla Piramide più grande di Chichen Itzà c’erano più persone in posa nel tentativo di tenere la piramide in mano per postarla su Instagram. La cosa più sorprendente, per me, rimangono in ogni caso le persone che amano fare questo tipo di fotografie e adoro fotografarle.

I colori del Chiapas

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Mercato tessile di San Cristobal de Las Casas, Chiapas, Messico

Il nostro piano iniziale, come sapete non viaggio mai senza un piano ben definito, non prevedeva alcuna sosta in Chiapas prima di Palenque. Ma quando siamo atterrati a Tuxtla Gutierrez, in un areoporto più piccolo della stazione degli autobus di Lampugnano, non abbiamo saputo resistere: i colori dell’altopiano ci hanno da subito conquistato.

San Cristobal de las Casas è la cittadina da cui partono gli autobus per le rovine di Palenque e abbiamo avuto la fortuna di trascorrere due ore a mezzogiorno, l’orario migliore per godere della luce brillante e totale che accende tutti i colori. Abbiamo passeggiato per le sue stradine acciottolate, di fianco a case dai colori pastello. Il luogo che più ci ha colpito è stato il sagrato del Monastero di Santo Domingo, punto di ritrovo delle donne della regione che qui ogni giorno danno vita a uno dei più grandi mercati tessili della zona. Qui abbiamo anche mangiato uno tra i migliori tacos di tutto il viaggio. Con una margarita di tutto rispetto (ah e, altra sorpresa, è la margarita, al femminile).

Messico e nuvole

Il Messico assomiglia senza dubbio al Paese delle Meraviglie. Nonostante la sua vicinanza con gli USA che ne ha scolorito un po’ i caratteri più tradizionali e loro rende facilmente meta di turisti che fanno la spola tra Cancun, Santo Domingo e la Riviera Romagnola. Il Messico ha un volto nascosto, dietro alle sue spiagge e ai suoi altipiani pieni di sole. È qualcosa che inizi a notare piano piano, qualcosa che ti fa sentire a disagio, ma non capisci pienamente che cos’è. Inizi ad avvertirlo quando il pullman su cui viaggi si ferma a un posto di blocco e fai caso al fatto che, prima di quello, ne abbiamo passati diversi. Militari armati fino ai denti perquisiscono i nostri bagagli con i cani antidroga, ci chiedono i documenti, nessuno fiata. Poi diventa più forte quando arrivi a Tulum e il nostro Airbnb si trova a ridosso dello slam della città: state solo sulle strade grandi, ci avverte la Senora Teresa che ci affitta l’appartamento con piscina che abbiamo prenotato da casa, che quelle piccole sono pericolose.

Abbiamo passato troppo poco tempo in questo Paese perchè io possa scrivere di più quella che è solo una sensazione, supportata da dati statistici tristemente noti. Anche se non abbiamo mai assistito a scene esplicite di violenza nè, per fortuna, ci siamo mai ritrovati a temere per la nostra incolumità, tuttavia, il Messico è tristemente famoso per l’altissimo numero di femminicidi e per il tasso crescente di persone che vivono sotto la soglia di povertà, condizione che nutre le forme di violenza, come la criminalità organizzata e gli omicidi rituali che a questa spesso sono collegati. La violenza scorre sottopelle, la vedi solo se ti avvicini abbastanza. Abbiamo avuto la sensazione che facesse parte della normalità ed è uno degli aspetti della vita con cui i messicani convivono, un po’ come i mosquitos al di là del sottile strato di zanzariera che separa un sonno tranquillo dalla notte impetuosa della giungla appena fuori dalla finestra.

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Io, i turisti, Barcellona

Ho deciso di andare a Barcellona, all’ultimo. Amalija mi ha proposto di raggiungerla per un weekend durante le sue vacanze e io non ho saputo dirle di no. Una decisione presa d’impulso per un viaggio diverso da quelli che faccio di solito e che inizio a programmare mesi e mesi prima.

Questa fuga di quattro giorni poteva essere perfetta per me, ma non per Barcellona. Negozi chiusi, una miriade di turisti, caldo afoso e prezzi alle stelle

Ho sempre voluto visitare Barcellona. Ci andai con i miei genitori quando ero piccola e ho sempre voluto tornarci. Me ne sono innamorata di nuovo e perdutamente guardando “Vicky, Christina, Barcelona”, in uno di quei rari momenti in cui ho avuto voglia di imparare qualcosa sul cinema anzichè accendere Netflix; ho iniziato a sognarla quando ho scoperto che assaggiare tanti cibi diversi in una sola cena si può e si chiamano tapas e me ne hanno parlato tutti così bene che volevo andarci anche solo per restare con le dita dei piedi sporche della sua polvere scintillante.

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Turisti nel quartiere ebraico di Barcellona durante un tour organizzato

Mentre ci muovevamo a zig zag tra gruppi di persone in passeggiata sulla Rambla, addocchiandoci a vicenda gli zaini perchè, ci avevano avvertite, ad agosto a Barcellona si riscontra un aumento significativo dei borseggi in quella parte della città dovuto all’incremento del numero di turisti presenti, io e Amalija cercavamo di intravedere la bellezza di questa città che, sono costretta ad ammetterlo, mi ha affascinato, ma non è riuscita a conquistarmi fino in fondo. Delusa, ho iniziato allora a guardarmi intorno a cercare quella bellezza che in tanti mi avevano raccontato.

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Giovani turisti riposano all’ombra nel Barrì Gotic di Barcellona

ed è li che ho scoperto che la vera bellezza di Barcellona ad agosto siamo noi turisti

I turisti a Barcellona, oltre ad essere tanti, sono rumorosi, si muovono in gruppo e il loro vociare invade le strade a tutte le ore del giorno e della notte. Vogliono mangiare solo tapas e paella e guai se trovano un menù-del-dia a più di 15€. Dal mio punto di osservazione privilegiato, ero infatti una di loro a tutti gli effetti, ho potuto osservarne i comportamenti e catturarli con la mia macchina fotografica. Come mi era accaduto già a Perugia durante il Festival del Giornalismo, di fronte alla situazione un po’ deludente, ho rivolto la mia attenzione a chi, come me, sedeva tra il pubblico. E ho scoperto volti, comportamenti e situazioni davvero interessanti che mi hanno fatto riflettere anche sul mio modo di viaggiare.

Turista si fa un selfie al Park Guell

Il comportamento più buffo e interessante che ho potuto osservare tra i turisti che, come me, hanno invaso Barcellona durante questo agosto, è la tendenza a farsi fotografare, o a fotografarsi, di fronte a ogni paesaggio, monumento o luogo di interesse. Poichè sempre più spesso si tratta di selfie, probabilmente solo il 40% dello scatto conterrà l’immagine del luogo e per il 60% il nostro volto sorridente. Non si capisce se è perchè sentiamo il bisogno di testimoniare che in un luogo ci siamo stati, se rimpiangiamo le cartoline e allora postiamo i nostri auto-scatti nelle stories di Instagram (colpevole!) o se, più semplicemente, ci piace sentirci protagonisti delle nostre stesse vacanze (e delle nostre vite). Un po’ come quelli che si fanno fotografare di fronte a un monumento, solo che sono in quinta fila e quindi alla fine si fanno fotografare davanti a un muro di persone che a sua volta si sta facendo fotografare in un gioco infinito di viene-prima-l’uomo-o-la-macchina-fotografica.

Turisti in posa al Park Guell

Un altro comportamento interessante dei turisti, che ho potuto riscontrare anche in altri luoghi, è la tendenza a fotografare le opere d’arte nei musei. Mi sono sempre chiesta perchè lo fanno. La mia professoressa di storia dell’arte del liceo lo faceva perchè amava insegnarci a ricordare le informazioni e le letture a più livelli di un’opera d’arte grazie alla memoria visiva: guardando la sola fotografia di un’opera io e i miei compagni di classe abbiamo imparato a ricostruirne la storia e i significati e a collocarla nel continuum della storia dell’arte. Immagino, quindi, che ci siano persone che scattino fotografie delle opere per ricordarsele meglio o perchè insegnano in un liceo. C’è chi poi, come il mio amico Paolo, ama condividere dettagli dell’opera sul proprio profilo Instagram: per condividerne la bellezza, rendendo l’opera fruibile anche a chi non è fisicamente presente nel museo. In una sorta di coeducazione social all’arte. Molti musei, come la Triennale di Milano ad esempio, la pensano come Paolo e infatti propongono hashtag e modalità di condivisione degli scatti che i visitatori sono invitati a condividere sui social.

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Turisti al Museo di Picasso fotografano Las Meninas

Addirittura ci sono musei la cui esperienza è interamente costruita sul dare per certo che i visitatori scattino fotografie delle opere: il MAUA, museo di arte urbana che ho conosciuto durante una ricerca per un articolo che ho scritto e in cui consigliavo cinque modi per vivere e riscoprire la propria città come turisti, rende fruibili contenuti informativi in tempo reale grazie alla realtà aumentata a partire dalle fotografie delle opere fatte dal visitatore con il proprio smartphone durante la visita. Sono molti i musei che stanno andando in questa direzione. Due anni fa partecipai a un evento a Firenze che si intitolava “Museum Digital Transformation” in cui esperti di User Experience si interrogavano insieme a curatori dei musei più importanti d’Europa sulle potenzialità del digitale per l’esperienza museale.

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Turisti utilizzano il proprio smartphone per accedere ai contenuti informativi di questa casa museo di Gaudì

Il problema dei troppi turisti a barcellona tra soluzioni istituzionali e soluzioni creative dal basso

Che a Barcellona il turismo sia più un problema che una benedizione non è, purtroppo, una novità. Già nel 2017 il Comune del capoluogo catalano aveva tentato di regolamentare gli accessi alla città attraverso un piano per la riduzione del turismo, approvato e non ancora divenuto effettivo. Secondo l’ultimo report dell’ente per il turismo di Barcellona la città accoglie più di 30 milioni di turisti ogni anno e continua a perdere abitanti, che, complice l’invivibilità della città in particolare nei mesi estivi, sono scesi a 1.6 milioni già nel 2016. La scorsa primavera, poichè le previsioni davano un aumento del 12% di turisti per l’estate 2019, il Comune di Barcellona ha lanciato una campagna di comunicazione per sensibilizzare cittadini e turisti a una buona convivenza reciproca.

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Uno dei poster della campagna di sensibilizzazione del Comune di Barcellona per l’estate 2019

Gli abitanti del quartiere Gracia, conosciuto come quartiere degli artisti, hanno trovato un loro modo per contrastare il turismo di massa che qui, denunciano, sta assumendo i tratti di una vera e propria gentrificazione, termine tradotto dall’inglese gentrification coniato dalla sociologa inglese Ruth Glass per identificare l’insieme dei cambiamenti urbanistici e socio-culturali di un’area urbana risultanti dall’acquisto di immobili da parte di popolazione benestante o dall’arrivo di popolazione benestante in seguito all’incremento degli affitti.

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Il manifesto degli abitanti di Gracia (la foto è di Amalija)

Questo secondo caso è quello che starebbe accadendo a Gracia secondo gli abitanti: gli affitti degli immobili che vengono innalzati durante l’altra stagione turistica influenzano il mercato rendendo così difficile vivere nel quartiere per chi ci abita in modo stabile tutto l’anno. Per contrastare il turismo di massa e la gentrificazione del proprio quartiere, gli abitanti di Gracia hanno deciso, come si legge nel manifesto riportato qui sopra,  di riappropiarsene nei mesi estivi attraverso feste di quartiere che durano tutta l’estate, in opposizione anche alle grandi feste organizzate dalle istituzioni a beneficio dei turisti. Una festa contro il capitalismo è la protesta più bella che io abbia mai visto e da cui, penso, tutti dovremmo prendere esempio.

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Se Romeo e Giulietta fossero nati nel 2000

Essere parte di un’orda di turisti invasori a tutti gli effetti mi ha fatto riflettere molto e mi ha permesso di diventare più consapevole del mio modo di viaggiare.

Spostando la mia attenzione sulle persone ho potuto capire quanto pesa l’impatto di un passo estraneo in una città, di una bottiglia di plastica dimenticata su una spiaggia, di una discussione sui massimi sistemi su una panchina di notte, che ci sembra così importante da non poter proprio rimandare. Sono convinta che, da viaggiatori, dovremmo sempre ricordarci di trattare con rispetto tutti i luoghi, così come trattiamo con rispetto, si spera, casa nostra. Ogni luogo che visitiamo è casa di qualcuno, umano o animale, e, come tale, va rispettato.

In questa vacanza ho deciso di voltare l’obiettivo della macchina fotografica verso le persone e ho cercato di usare di meno anche lo smartphone. Tornerò sicuramente a Barcellona. Ci tornerò in un periodo meno affollato, alla ricerca di quella meraviglia che hanno i bambini quando vedono un luogo nuovo per la prima volta. E in questa vacanza ho imparato che quella meraviglia, quando la trovo, me la voglio tenere stretta.

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Bimbo pirata che si diverte un mondo al Park Guell

 

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Friburgo è una buona idea

Sono andata a Friburgo per prendere una pausa. Cercavo un luogo dove rallentare e ad attrarmi sono state le sue viuzze acciottolate, i canali che scorrono limpidi lungo le strade e gli alberi della Foresta Nera che si intravedono tra i tetti delle case della piazza rotonda della cattedrale. Il fatto poi che una delle specialità è una torta al cioccolato ha fatto il resto.

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Le torte altre 10 cm da Gmeiner

Sono partita da sola dopo il lavoro. Il fatto che Milano non fosse collegata a Friburgo via aereo aveva incrinato la mia motivazione, all’inizio. Non sopporto viaggiare in pullman e poichè avevo pochi giorni a disposizione non volevo giocarmeli in un viaggio troppo lungo. Avrei preferito il treno, ma ho scoperto che le connessioni erano pessime. E così ho provato Flixbus per la prima volta: un viaggio di sei ore, mi sono detta, poteva essere un buon test.

Sono arrivata a Friburgo in tempo per arrivare all’Airbnb che avevo prenotato. Non avendo idea di come fosse la città, e immaginando che la zona vicino alla stazione non fosse il massimo per una donna da sola a mezzanotte, ho deciso di prendere un taxi. Tra tutte le belle idee che mi sono venute in questa piccola parentesi tedesca, questa è stata in assoluto la più inutile: avrei potuto tranquillamente risparmiare i dodici euro che ho dato alla taxista che mi ha trasportato. Friburgo mi è sembrata una città molto tranquilla e, infatti, nei giorni successivi ho sempre fatto a piedi i due kilometri tra il centro e Egertenstrasse, dove alloggiavo. Puoi informarti di tutto prima di arrivare in un luogo, ma la sicurezza è solo una percezione del momento ed è molto soggettiva. Ricordo che una volta in Francia per scegliere se tornare a casa passando per un parco la sera io e Amalija avemmo un piccolo battibecco: io le dissi che mi sembrava la cosa meno sicura, per lei invece era perfettamente normale.

Quello che a Friburgo non è assolutamente normale è il fatto che mentre passeggi potresti finire con i piedi a mollo perchè sei finita dentro uno dei bachle, i canaletti di acqua limpidissima che scorrono per tutto il centro città e che sono stati inventati per gestire le acque reflue. Una credenza piuttosto diffusa in città è che se ci finisci dentro poi ritornerai sicuramente (credenza che fa presto a trasformarsi nella sua versione più romantica per cui tornerai in città perchè sposerai un abitante di Friburgo).

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Uno dei bachle più grandi con una testa di coccodrillo

Lo stretto rapporto tra la città e la natura è evidente a ogni passo. Tanto che non c’è da stupirsi se Friburgo è denominata tra le città più green d’Europa. Le strade del centro storico sono decorate da antiche piante di glicine: io le ho viste nel periodo invernale e posso solo immaginare il profumo e la bellezza che devono emanare quando carichi di fiori viola spargono profumo nelle sere di primavera inoltrata. I parchi nel centro città sono diversi e ospitano spesso i mercati agricoli di quartiere. Gli abitanti di Friburgo amano andare in bicicletta, quasi che sembri di stare a Copenhagen o ad Amsterdam, e ogni edificio o stazione è dotato del suo silos o parcheggio apposito; anche le strade meno trafficate sono dotate di una piccola porzione dedicata al passaggio delle bici. La vicinanza di Friburgo cn la Foresta Nera regala simpatiche visioni di ciclisti in calzoncini che portano sci di fondo legati alla canna della bicicletta a scatto fisso o genitori che trasportano figlioletti infagottati in coloratissime tute da sci.

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Il mercato della piazza centrale di Friburgo

La Foresta Nera costituisce la vera particolarità di questa città del sud della Germania. La collina che si erge dietro la cattedrale è un vero e proprio accesso a questo luogo incantato che sembra la foresta delle Cronache di Narnia. Ed è stato qui che, nei pressi di una grotta sacra alla popolazione locale sin dal primo medioevo attorno alla quale è stato costruito un santuario, su un prato scaldato dal sole del mezzogiorno al lato di un sentiero, ho incontrato Leonie, la mia stessa età, la stessa passione per le camminate e per i viaggi in solitaria.

Da Leonie ho imparato che: essere una donna di 28 anni in Germania è molto più conveniente di essere una donna della stessa età in Italia, in termini di riconoscimento e di carriera.

Ho imparato anche che, nonostante le provenienze geografiche e le difficoltà legate al tempo e alla società in cui siamo inserite, abbiamo nelle nostre mani la capacità, e la responsabilità, di fare di tutto per cambiare una situazione che non ci fa stare bene; che le partite di calcio senza telecronaca sono anche piacevoli; che la flammkuchen con la birra è una merenda favolosa; che se le persone ci trattano male possiamo mandarle a cagare senza sentirci troppo in colpa e che è possibile chiamarsi amiche dopo anche solo due ore passate insieme.

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Oltre alla flammkuchen la merenda/pranzo/colazione/spuntino preferito degli abitanti di Friburgo è la “lange rote” con la cipolla

Ed eccoci alla parte più cicciona del post!

Cosa fare a Friburgo, cosa mangiare e dove andare a mangiarlo!

La torta al cioccolato più buona l’ho mangiata da Gmeiner, alla fine di Gerberau, l’antica via dei conciatori. Contrariamente alle mie aspettative, la Schwarzwälder Torte mi ha abbastanza deluso se comparata alla Victoria: due strati di mousse al cioccolato con topping di lamponi, accompagnata da un te nero speziato è stata la compagnia migliore che potessi avere (dopo la mia nuova amica Leonie, ovviamente!).

Non potrebbe essere un viaggio in Germania senza wusterone! La Lange Rote, ovvero “la lunga rossa”, è lo street food tipico di Friburgo. Servita nel pane croccante con cipolla e curry ketchup, ha un odore caratteristico che ho imparato ad associare a Friburgo (o forse era colpa della cipolla che mi si era infilata nella sciarpa e che mi sono portata dietro fino a sera, non lo saprò mai!).

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La Lange Rote, che letteralmente significa “la lunga rossa”

Il mio posto preferito, dove mi sono fermata di continuo e in cui ho scattato un sacco di foto, è il mercato della Piazza della Cattedrale. Ogni mattina produttori locali di frutta, oggetti in legno, bellissimi fiori, succo di mela, formaggi, carni, erbe aromatiche e biscotti da tè si danno appuntamento sui ciottoli della piazza e vendono le loro merci ai cittadini, agli studenti e ai turisti sotto i rintocchi del campanile.

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I fiori del mercato

Un altro posto magico è il Barleben, negozio che vende marionette di stoffa realizzate a mano e dove la commessa, che sono sicura sa fare tutti gli accenti e le voci del mondo, li indossa ed è capace di creare mondi e storie con chiunque passi di lì a dare un’occhiata.

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Il negozio da fuori

Un’ultima menzione particolare la merita in assoluto la torta Stefans: una cheescake cosi buona e leggera che mia nonna, a cui ne ho portata una in versione minion, ha fatto addiritura il tris!

Andare a Firburgo è stata una buona idea perché mi ha permesso di vivere a rallentatore nella mia domenica ideale per tre giorni

Non essendo cascata in nessun bachle non posso dire che ci tornerò di sicuro, ma credo che cercherò di portare un po’ di quella spensieratezza e di odore di cipolla fritta nella mia vita quotidiana.

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Sicilia, amore e arancine

Mi ero ripromessa di scrivere del mio viaggio in Sicilia prima di andare in Francia e prima che l’abbronzatura venisse via del tutto (presente quando vi abbronzate in fretta e poi desquamandovi ritornate chiari come a novembre nel giro di una settimana?). Ed eccomi qua.

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Ispirazione nei vicoletti di Palermo verso la Chiesa dello Spasimo

Anche se viaggiare mi piace al punto che stare a casa per più di tre mesi fila mi fa fatica, questo non è un blog di viaggio: organizzo tutto talmente maniacalmente che vi farei paura e non mi leggereste più. Dunque, non vi spaventerò nè con la foto della mia guida piena di post it (scherzo, ci tengo a farvela vedere e la foto è in fondo al post) nè con una noiosissima roadmap di viaggio.

Cercherò di parlarvi della Sicilia attraverso le cose che mi piacciono e a cui non rinuncio mai quando ci vado, ovvero: il mare, il cibo e l’arte. In 10 giorni abbiamo fatto il pieno di tutto quello che c’era da mangiare, da bere, da vedere e da immergersi tra Palermo e San Vito lo Capo e da Scopello ad Agrigento, passando per Menfi e Sciacca. Prima che ve lo chiediate: yes, aereo + macchina a noleggio = figata per la rapidità, ma bello sbatti economico. Per fortuna, le skills del giocare al ribasso con il prezzo apprese nella Medina di Tangeri l’anno scorso ci hanno permesso di pagare l’auto la metà di quanto inizialmente offertoci dall’agenzia. Come direbbero a Pavia: “topperia”.

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Sciacca

SICILIA PER ME È MARE, GELATO, CASSATELLE E ARTE

Da quando i nostri viaggi insieme hanno iniziato a contemplare anche il mare, io e Boris ci divertiamo a fare la classifica delle spiagge più belle che abbiamo visto e in cui abbiamo fatto il bagno. Ecco quella di quest’anno con quelle che si sono meritate il podio. A prima vista avrebbe potuto esserci anche quella del Bue Marino a San Vito Lo Capo, ma il mare mosso ci ha impedito di entrare nella grotta, per cui, non lo sapremo mai:

1. Cala della Disa, Riserva Naturale dello Zingaro

All’unanimità la spiaggia più bella del nostro viaggio. A metà tra i due ingressi della riserva (noi siamo entrati da quello di Scopello, dove si parcheggia gratis se arrivate prima delle 8:00 e dove un simpaticissimo omino ci ha raccontato TUTTO QUANTO sulla sua storia e su quello che avremmo trovato di lì a pochi passi) si raggiunge con una scalinata di legno incastrata nella roccia. La spiaggia è di ciottolini bianchi, ma le grandi rocce che la circondano sono adatte per i tuffi, per prendere il sole e per farsi ombra nelle ore più calde della giornata. Due simpatici signori affittano camere nella casetta poco distante e vendono frutta fresca tutto il giorno. Il mare è vivissimo, abbiamo visto seppie, polipi e pesci rossi come Nemo, e sembra che la montagna si getti nel mare.

2. Spiaggia di Calamazzo di Sciacca.

Ci siamo andati per farci passare la delusione: avevamo previsto di andare a fare il bagno tra i faraglioni di fronte alla Tonnara di Scopello (ero persino riuscita a convincere Boris che non era necessario saper nuotare per fare il bagno lì – sciocco, mi ha creduto, se non sapete nuotare bene non ve lo consiglio perchè l’acqua è profonda parecchio e la riva non troppo vicina), ma la Tonnara è sotto sequestro e quindi no barca, no party. Presimale decidiamo di seguire il consiglio di un’altra turista delusa e non ce ne siamo pentiti. Non mi perdo in chiacchiere e vi lascio la foto di quel paradiso qui sotto.

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Senza parole? Pure io

3. La spiaggia dietro la scala dei Turchi 

Bene avete presente la scogliera bianca, l’orda di gente che ci si arrampica per fare i selfie per poi buttarsi, tutti insieme appassionatamente, in acqua? Bene, toglietevi le scarpe che se no scivolate, schivate i selfie stick e andate dall’altra parte. La spiaggia kilometrica dalla sabbia dorata che troverete è la nostra numero 3. Non c’è ombra neanche a pagarla e la roccia bianca riflette la luce che vi abbronzerete persino tra le dita dei piedi.

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La scala dei Turchi. La spiaggia è proprio oltre

SE AVETE VISTO LE MIE STORIES NON POTETE NON SAPERE CHE ABBIAMO MANGIATO CONTINUAMENTE

Siamo andati in vacanza in Sicilia perchè una delle sorelle di Boris si è sposata. Volevate mica che ci facessimo trovare impreparati? Siamo entrati in preparazione atletica appena messo piede sull’isola e all’1 del mattino ci siamo messi alla ricerca di un’arancina. Non l’abbiamo trovata e abbiamo rimediato con un gelato. E con il gelato, lasciatevelo dire da una che se ne intende, state sempre a posto.

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Pistacchio e mandorla

IL GELATO PIÙ BUONO L’ABBIAMO MANGIATO a Palermo, alla gelateria Da Cassero. Provate anche la granita, strabuona

L’ARANCINA PIÙ BUONA L’ABBIAMO MANGIATA a Palermo al Bar Touring

IL CANNOLO PIÙ BUONO L’ABBIAMO MANGIATO a Palermo al Bar Ruvolo

IL VINO PIÙ BUONO L’ABBIAMO BEVUTO a Menfi durante la nostra visita alle Cantine Barbera

LA CASSATELLA PIÙ BUONA È QUELLA AL FORNO E NOI L’ABBIAMO MANGIATA al mercato di Ballarò, così buona che mi sono commossa

LA SARDA ALLA BECCAFICO PIÙ BUONA L’ABBIAMO MANGIATA a Porto Empedocle al ristorante Il Timone (25 euro menù completo, consigliatissimo!)

IL PANINO CUNZATO PIÙ BUONO L’ABBIAMO MANGIATO a Scopello da un panettiere che alimenta ancora il fuoco a legna, dopo la piazza principale sulla destra

IL PANINO CA MEUZA – MARITATA – PIÙ BUONO L’ABBIAMO MANGIATO a Palermo da Franco U Vastiddaru

LA TORTA SETTE VELI PIÙ BUONA L’ABBIAMO MANGIATA a Palermo alla pasticceria Capello

IL LATTE DI MANDORLE PIÙ BUONO L’ABBIAMO BEVUTO a Catania.. in aeroporto!

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Al mercato di Ballarò

SCUSA VERA MA AVETE SOLO MANGIATO?

No.. siamo anche andati a visitare Palermo, Sciacca, la Valle dei Templi e il Farm Cultural Park di Favara . Quest’ultimo, in particolare, è da vedere. È un centro culturale indipendente nato qualche anno fa in uno dei luoghi dove la presenza della mafia è persistente. Oggi ospita artisti, spazi co working ed esibizioni, il tutto con un livello di hypsteria abbastanza alto: ma il posto era così figo e Rosario, la nostra guida, così preparato e simpatico, che persino Boris gli ha perdonato la doccia finta a vista sul tetto con le sedie colorate.

Giusto due parole su Palermo e la Valle dei Templi: Palermo è bellissima e va vista tra un cibo e l’altro. Magari non in un giorno e mezzo come abbiamo fatto noi se no il vostro fegato dice “addios” (cit.), ma sicuramente è una città da assaporare. E la Valle dei Templi vedetela di notte con i templi illuminati, i grilli e le stelle. Non fidatevi delle informazioni sul sito: è aperta fino alle 23:00 durante la settimana e fino alle 24:00 solo nel weekend. Se avete tempo visitate anche il giardino della Kolymbethra e avrete delle foto stupende sulla Valle dei Templi e sul golfo di Agrigento.

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Hypsteria portami via al Farm Cultural Park

E PER IL RESTO: TENDA, AIRBNB, FORNELLINO DA CAMPEGGIO E PANINI MAIONESE, TONNO, POMODORI E CIPOLLA

Questa combo per noi è l’ideale. L’abbiamo sperimentata l’anno scorso in Andalusia e abbiamo visto che funziona davvero perchè ci permette di spendere poco e di gestire i tempi come vogliamo. In città scegliamo Airbnb perchè di solito i campeggi sono fuori dal centro e perchè ci piace farci consigliare cose da vedere e posti dove mangiare dai proprietari (e poi ogni tanto dormire in un letto fa anche piacere).

IL NOSTRO CAMPEGGIO PREFERITO è stato l’Agricampeggio Scopello, ombra, stelle, panorama sul golfo di Castellammare, montagne alle spalle, barbeque gratuiti e soprattutto spaccio alimentare dei contadini a 5 minuti.

IL NOSTRO AIRBNB PREFERITO è stato quello di Angela a Palermo. È stata lei a darci tutti i consigli su dove mangiare e cosa andare a vedere.

IL NOSTRO PANINO PREFERITO è quello che ci siamo fatti praticamente tutti i giorni e che proviene direttamente dalla nostra esperienza scout. Prendi del tonno in scatola e lo mischi con la maionese, poi ci aggiungi fette di cipolla cruda tagliate finissime e fette di pomodoro. Et voila, lo piazzi nel panino ed è un perfetto pranzo da spiaggia anche per chi, come noi, viaggia senza frigo perchè non si possono (ancora) imbarcare gli elettrodomestici in aereo.

E adesso come promesso: ta taan la foto della mia guida!!

Post it fucsia per le città, verde per le spiagge, giallo per le cose strane, arancione per dove mangiare e trovare cose carine